Malattie del gatto

Sindrome eosinofilica

Articolo a cura del Dott. Salvatore Di Pasquale Farina

Si tratta di una patologia molto frequente nei gatti, che colpisce indistintamente i gatti di casa e i gatti randagi, senza distinguere i maschi dalle femmine, gli interi dagli sterilizzati e senza preferire razze particolari. Si può presentare a qualsiasi età anche se più frequentemente insorge nei giovani.

Si definisce come “sindrome” perché è costituita da un’insieme di sintomi non sempre chiaramente collegati tra loro, “eosinofilica” perché all’esame istologico le lesioni sono caratterizzate da un accumulo di un particolare tipo di globuli bianchi che si chiamano “granulociti eosinofili”.
Questo particolare tipo di globuli bianchi di solito aumenta in corso di allergie, malattie parassitarie o micotiche.

Della sindrome eosinofilica si distinguono tre forme che possono presentarsi singolarmente o in associazione nello stesso soggetto. Esse sono:

  • Stomatite eosinifilica
  • Linfangite eosinofilica
  • Placca eosinofilica

Stomatite eosinofilica significa letteralmente “infiammazione della bocca a carattere eosinofilico” cioè infiammazione della bocca con massiccia presenza, in questa infiammazione, di quel particolare tipo di globuli bianchi chiamati granulociti eosinofili.
Questa caratteristica naturalmente non ci appare all’esame clinico del gatto, quello che ci appare è un povero gatto che rifiuta il cibo non per inappetenza, ma perché mangiare è talmente doloroso che preferisce rinunciare.

Il proprietario spesso riferisce che il gatto chiede da mangiare ma poi davanti alla ciotola volta le spalle, oppure tenta di prendere in bocca il cibo ma lo lascia cadere subito dopo accompagnando spesso il gesto con smorfie o versi di dolore. Nei casi più gravi il soggetto può presentarsi con la bocca semichiusa, con colio di bava o soltanto con i peli intorno alla bocca sporchi e maleodoranti, cosa difficile da riscontrare in un gatto sano.

Il cattivo odore della bocca è spesso il motivo che spinge il proprietario a portare il gatto alla visita veterinaria. Il dolore alla assunzione del cibo e alla deglutizione e l’odore cattivo sono presto spiegati allorché proviamo ad aprire la bocca al gatto in questione, manovra tra l’altro non facile perché molto dolorosa. L’interno della bocca si presenta fortemente arrossato e ispessito, le gengive sono interessate ma più spesso è la parte più profonda della bocca la più colpita.
Il palato molle, l’istmo delle fauci, tutta la gola si presenta fortemente arrossata e ispessita, spesso ci sono aree necrotiche giallastre.

Altre volte è soltanto la commessura labiale, cioè gli angoli della bocca, o un labbro a essere colpiti dalla lesione. Ci sono varie lesioni della bocca del gatto che possono essere confuse con la stomatite eosinofilica. Sarà compito del veterinario distinguerla dalle altre possibilità.

Linfangite eosinofilica significa letteralmente “infiammazione dei vasi linfatici a carattere eosinofilico”. Spesso associata alla stomatite, si può altresì presentare da sola. Difficile da notare precocemente perché inizia con un lieve ispessimento dei vasi linfatici del margine posteriore delle cosce del gatto, lì dove i peli sono solitamente più lunghi, e soltanto un proprietario che accarezza il proprio gatto molto attentamente può notare questo ispessimento sotto la pelle del bordo posteriore delle cosce del proprio animale.

Più spesso il gatto viene portato alla visita perché non ha più quel “bel ciuffo di peli dietro le cosce” o perché “da un po’ di tempo si lecca insistentemente dietro le cosce”.

La lesione si manifesta con la perdita di pelo più o meno accentuata, con la presenza di cordoncini o nodulini a rosario, dapprima soltanto ispessiti e duri al tatto poi rossi e molto rilevati sulla cute, si arriva infine a vere e proprie ulcere trasudanti lungo tutto il bordo posteriore delle cosce.

Raramente la lesione si può manifestare sulle zampe anteriori, con cordoncini ispessiti lungo la faccia interna della zampa,o con ispessimento dei cuscinetti plantari.

Con la dicitura placca eosinofilica si intendono lesioni della pelle che si possono manifestare quasi ovunque sul corpo del gatto ma più spesso si riscontrano sul ventre, sul collo o sulle zampe. Sono lesioni piatte rilevate, spesso insorgono come semplici ispessimenti della cute che poi il gatto stesso con il leccamento trasforma in ulcere rossastre .

A volte coprono intere aree del corpo convergendo a formare delle vere e propri placche, a volte sono piccole lesioni localizzate con scarsa tendenza a diffondere, sempre sono fortemente pruriginose e dolenti soprattutto quando vengono complicate da infezioni dovute a germi di irruzione secondaria, il che le rende di difficile distinzione da altri problemi della cute del gatto quali micosi, piodermiti o tumori cutanei.

La diagnosi di queste tre forme è tanto più agevole per il veterinario quanto più precocemente il proprietario si accorge che qualcosa non va col proprio gatto. Allorché le lesioni si presentano complicate da infezioni intercorrenti, cosa molto frequente, è più difficile inquadrare il problema come Sindrome Eosinofilica.

L’esame citologico, da ago aspirato o da impronta, può costituire un valido sussidio diagnostico in caso di dubbio da parte del veterinario, ma la diagnosi è per lo più clinica.

Le cause della malattia non sono state chiaramente individuate.
Certo è che non si tratta di una forma infettiva contagiosa, non c’è alcun rischio di trasmissione da gatto malato a gatto sano. Ne c’è alcun rischio di trasmissione all’uomo o ad altre specie. Sembra piuttosto trattarsi di una forma allergica/autoimmune, cosa confermata dalla sensibilità alla terapia cortisonica. Sono state avanzate diverse teorie che ricondurrebbero la malattia a cause di allergie alimentari o ambientali, ma studi e ricerche sono ancora in corso per individuare una causa certa.

Per quanto riguarda la terapia tutte e tre le forme rispondono bene alla terapia cortisonica in associazione con antibiotici per tenere a bada le complicazioni batteriche secondarie. Tutte e tre le forme tendono a recidivare e raramente un gatto affetto guarisce permanentemente, più spesso dovrà sottoporsi periodicamente a cicli di terapia. Esistono possibilità terapeutiche alternative al cortisone ma non hanno una pari efficacia.

In omeopatia possono utilizzarsi diversi rimedi: Mercurius Corrosivus, Mercurius Solubilis, Sulphur, Hepar Sulphur, Phosphorus e altri a seconda dell’aspetto e sede della lesione e del temperamento e costituzione del soggetto colpito.

Anche l’erboristeria ci offre rimedi quali la Bardana, il Tarassaco, il Ribes e altri che spesso allungano gli intervalli e favoriscono la remissione dei sintomi, ma non sempre è facile fare assumere estratti alcolici, tinture madri o gemmoderivati ad un gatto.

Gli integratori alimentari a base di acidi grassi polinsaturi assunti per lunghi periodi possono diminuire l’intensità e la frequenza di insorgenza delle lesioni.

L’alimentazione sembra giocare un ruolo importante nella genesi della malattia. Una alimentazione sana e non eccessiva sembra essere uno strumento di prevenzione verso questa patologia, ma la validità e l’ efficacia della dieta nel prevenire questa sindrome è ancora da dimostrare.

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